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Il Papa al Congresso Usa: «No alla pena di morte Difendete la persona e la vita umana, sono sacre»

di Massimo Introvigne
2015 09 24PapaFrancescoAlCongressoUSAAbolire la pena di morte, difendere con le leggi la persona umana che è sacra, sostenere la famiglia e proteggere i più deboli. Nel primo, storico discorso di un Papa al Parlamento americano a Washington, Francesco ha parlato di pace, pena di morte, libertà religiosa, immigrazione, povertà e commercio di armi. Sull’esempio di Abraham Lincoln, Martin Luther King, Dorothy Day e Thomas Merton. Grandi che appartengono alla memoria storica dell'America.

Nella serata del 24 settembre 2015 papa Francesco arriva a New York, dopo le ultime tappe a Washington: il 23 sera, la canonizzazione nel Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione dell’apostolo della California san Junipero Serra, e il 24 il primo storico discorso di un Pontefice al Congresso degli Stati Uniti. Poi il commovente incontro con i senzatetto, molti dei quali piangevano, presso la parrocchia di Saint Patrick. Il Papa ha continuato a proporre, e a tenere insieme, quattro temi forti: la difesa della famiglia, «minacciata, forse come mai in precedenza, dall’interno e dall’esterno», la libertà religiosa, la critica della dittatura del denaro e del profitto – con una nuova condanna del commercio delle armi – e la difesa dell’ambiente, cui ha aggiunto un pressante invito perché ci sia maggiore accoglienza per gli immigrati e sia abrogata la pena di morte, che negli Stati Uniti è ancora in vigore.

Non troviamo nessun tipo di giustificazione sociale, morale, o di altro genere per accettare la mancanza di abitazione», ha detto il Papa ai senzatetto. «Sono situazioni ingiuste». Ma «Dio le sta soffrendo insieme con noi, le sta vivendo al nostro fianco. Non ci lascia soli». Anche la Sacra Famiglia è stata senza tetto a Betlemme, anche san Giuseppe, che il Papa, ha detto Francesco, prega tanto spesso e propone ai senzatetto come loro patrono. Nella Messa di canonizzazione di san Junipero Serra, il Papa è partito da un suo tema prediletto, l’invito alla gioia. «C’è qualcosa dentro di noi che ci invita alla gioia e a non adattarci a palliativi che cercano sempre di accontentarci». E tuttavia oggi «sono molte le situazioni che sembrano mettere in dubbio questo invito. La dinamica a cui molte volte siamo soggetti sembra portarci ad una rassegnazione triste che a poco a poco si va trasformando in abitudine, con una conseguenza letale: anestetizzarci il cuore». Come evitare questa anestesia del cuore? La soluzione Gesù l’ha offerta ai discepoli, e anche a noi: «Andate! Annunciate! La gioia del Vangelo si sperimenta, si conosce e si vive solo donandola, donandosi».

«Lo spirito del mondo ci invita al conformismo, alla comodità». Rinunciando a qualche comodità e a tanto conformismo per annunciare il Vangelo, diventiamo capaci di ascoltare la voce del Signore che ci dice: «la gioia il cristiano la sperimenta nella missione: andate alle genti di tutte le nazioni; la gioia il cristiano la trova in un invito: andate e annunciate; la gioia il cristiano la rinnova e la attualizza con una chiamata: andate e ungete». Il Signore Gesù, ha detto Francesco, «non dà una lista selettiva di chi sì e chi no, di quelli che sono degni o no di ricevere il suo messaggio, la sua presenza. Al contrario, ha abbracciato sempre la vita così come gli si presentava. Con volto di dolore, fame, malattia, peccato. Con volto di ferite, di sete, di stanchezza. Con volto di dubbi e di pietà. Lungi dall’aspettare una vita imbellettata, decorata, truccata, l’ha abbracciata come gli veniva incontro. Benché fosse una vita che molte volte si presenta rovinata, sporca, distrutta». Anche noi dobbiamo annunciare il Vangelo «a tutta questa vita così com’è e non come ci piacerebbe che fosse», «senza paura, senza pregiudizi, senza superiorità, senza purismi, a tutti quelli che hanno perso la gioia di vivere», a «quelli che vivono con il peso del dolore, del fallimento, del sentire una vita spezzata». A tutti la Chiesa annuncia, «con l’olio che lenisce le ferite e ristora il cuore», che «gli sbagli, le illusioni ingannevoli, le incomprensioni, non hanno l’ultima parola nella vita di una persona».

I santi come Junipero Serra ci hanno insegnato che cos’è davvero la missione. «La missione non nasce mai da un progetto perfettamente elaborato o da un manuale molto ben strutturato e programmato; la missione nasce sempre da una vita che si è sentita cercata e guarita, trovata e perdonata. La missione nasce dal fare esperienza una e più volte dell’unzione misericordiosa di Dio». La Chiesa americana è figlia «dell’audacia missionaria di tanti» e debitrice «di una Tradizione, di una catena di testimoni». Padre Serra «ha saputo vivere quello che è “la Chiesa in uscita”, questa Chiesa che sa uscire e andare per le strade, per condividere la tenerezza riconciliatrice di Dio. Ha saputo lasciare la sua terra, le sue usanze, ha avuto il coraggio di aprire vie, ha saputo andare incontro a tanti imparando a rispettare le loro usanze e le loro caratteristiche». In particolare, tra i nativi americani della California, «Junipero ha cercato di difendere la dignità della comunità nativa, proteggendola da quanti ne avevano abusato. Abusi che oggi continuano a procurarci dispiacere, specialmente per il dolore che provocano nella vita di tante persone». Il nuovo santo «scelse un motto che ispirò i suoi passi e plasmò la sua vita: seppe dire, ma soprattutto seppe vivere dicendo: “Sempre avanti”». Camminava, evangelizzava, non si fermava, «perché non si anestetizzasse il suo cuore. È stato sempre avanti, perché il Signore aspetta; sempre avanti, perché il fratello aspetta; sempre avanti per tutto ciò che ancora gli rimaneva da vivere; è stato sempre avanti. Come lui allora, che noi oggi possiamo dire: sempre avanti».

Di fronte ai parlamentari del Congresso, Francesco ha salutato l’America, «terra dei liberi e casa dei valorosi», e ha ricordato la vocazione alta e nobile della politica. «Una società politica dura nel tempo quando si sforza, come vocazione, di soddisfare i bisogni comuni stimolando la crescita di tutti i suoi membri, specialmente quelli in situazione di maggiore vulnerabilità o rischio. L’attività legislativa è sempre basata sulla cura delle persone». Il Papa ha invitato i legislatori a riflettere sulla figura di Mosé. Da una parte, «il patriarca e legislatore del popolo d’Israele simbolizza il bisogno dei popoli di mantenere vivo il loro senso di unità con gli strumenti di una giusta legislazione». Dall’altra, «la figura di Mosè ci conduce direttamente a Dio e quindi alla dignità trascendente dell’essere umano. Mosè ci offre una buona sintesi del vostro lavoro: a voi viene richiesto di proteggere, con gli strumenti della legge, l’immagine e la somiglianza modellate da Dio su ogni volto umano».

Francesco ha quindi diviso il suo discorso in quattro parti, rievocando altrettante figure della storia americana di cui a vario titolo ricorrono quest’anno anniversari: due protestanti – Abraham Lincoln e Martin Luther King – e due cattolici, Dorothy Day e Thomas Merton. Questi uomini e donne, ha detto il Papa, non erano perfetti, vivevano «la complessità della storia e la realtà della debolezza umana». Ma i loro sogni hanno creato «profonde riserve culturali», «hanno dato forma a valori fondamentali e resteranno per sempre nello spirito del popolo americano».?Il presidente Lincoln nell’immaginario americano incarna la libertà. «Costruire un futuro di libertà significa amore per il bene comune e collaborazione in uno spirito di sussidiarietà e solidarietà». Dall’azione politica di Lincoln, Francesco ricava tre insegnamenti. Il primo è il «il rifiuto di ogni forma di fondamentalismo, tanto religioso come di ogni altro genere». «Il nostro mondo è sempre più un luogo di violenti conflitti, odi e brutali atrocità, commesse perfino in nome di Dio e della religione. Sappiamo che nessuna religione è immune da forme di inganno individuale o estremismo ideologico». Alla radice del fondamentalismo sta un «semplicistico riduzionismo che vede solo bene o male, o, giusti e peccatori». Dal fondamentalismo, che non è solo religioso, si arriva facilmente alla «violenza perpetrata nel nome di una religione, di un’ideologia o di un sistema economico». Qualche volta «nel tentativo di essere liberati dal nemico esterno, possiamo essere tentati di alimentare il nemico interno. Imitare l’odio e la violenza dei tiranni e degli assassini è il modo migliore di prendere il loro posto».

La vera risposta al fondamentalismo sta in una politica che «salvaguarda allo stesso tempo la libertà religiosa, la libertà intellettuale e le libertà individuali». «In questa terra, le varie denominazioni religiose hanno contribuito grandemente a costruire e a rafforzare la società. È importante che oggi, come nel passato, la voce della fede continui ad essere ascoltata» e non sia emarginata o messa a tacere. Lincoln, che si trovò coinvolto nella Guerra Civile, comprendeva in secondo luogo il valore della pace. «I nostri sforzi devono puntare a restaurare la pace, rimediare agli errori, mantenere gli impegni, e così promuovere il benessere degli individui e dei popoli». Infine, Lincoln difese gelosamente le prerogative della politica contro i tentativi di prevaricazione dei potentati economici. «Se la politica dev’essere veramente al servizio della persona umana, ne consegue che non può essere sottomessa al servizio dell’economia e della finanza. Politica è, invece, espressione del nostro insopprimibile bisogno di vivere insieme in unità, per poter costruire uniti il più grande bene comune: quello di una comunità che sacrifichi gli interessi particolari per poter condividere, nella giustizia e nella pace, i suoi benefici, i suoi interessi, la sua vita sociale».

Martin Luther King è il simbolo della «libertà nella pluralità e non esclusione» attraverso la sua battaglia per «i pieni diritti civili e politici per gli afro-americani». Oggi a chiedere pieni diritti si presentano i nuovi immigrati. «Negli ultimi secoli, milioni di persone sono giunte in questa terra per rincorrere il proprio sogno di costruire un futuro in libertà. Noi, gente di questo continente – ha detto Francesco, figlio egli stesso di immigrati dall’Italia –, non abbiamo paura degli stranieri, perché molti di noi una volta eravamo stranieri». In passato, purtroppo, in nessun Paese del continente americano sono mancati atteggiamenti discriminatori verso questa o quella categoria d’immigrati. Oggi «non dobbiamo ripetere i peccati e gli errori del passato». Mentre le guerre creano «una crisi di rifugiati di proporzioni tali che non si vedevano dai tempi della Seconda Guerra Mondiale», «dobbiamo evitare una tentazione oggi comune: scartare chiunque si dimostri problematico. Ricordiamo la Regola d’Oro: “Fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te” (Mt 7,12). Questa norma ci indica una chiara direzione. Trattiamo gli altri con la medesima passione e compassione con cui vorremmo essere trattati. Cerchiamo per gli altri le stesse possibilità che cerchiamo per noi stessi. Aiutiamo gli altri a crescere, come vorremmo essere aiutati noi stessi». In altre parole, «se vogliamo sicurezza, diamo sicurezza; se vogliamo vita, diamo vita; se vogliamo opportunità, provvediamo opportunità. La misura che usiamo per gli altri sarà la misura che il tempo userà per noi».

Il Papa ha anche richiamato «la responsabilità di proteggere e difendere la vita umana in ogni fase del suo sviluppo» e ha auspicato l’abolizione della pena di morte, ancora in vigore in parecchi Stati degli Stati Uniti, convinto che «una giusta e necessaria punizione non deve mai escludere la dimensione della speranza e l’obiettivo della riabilitazione». Dorothy Day, attivista sociale cattolica di cui è in corso la causa di beatificazione, è il simbolo della critica a un’idea di progresso che limita la nozione dello sviluppo all’aumento del prodotto nazionale e della ricchezza. Una nozione diversa dell’economia è possibile. Ricordando la sua enciclica «Laudato si’», il Pontefice ha invitato a porre l’economia e la tecnica «al servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale», più rispettoso delle persone e dell’ambiente. Francesco ha ribadito che la Chiesa non è contro gli imprenditori e considera la loro una «nobile vocazione». Ma questa vocazione deve essere orientata dalla morale. «Il corretto uso delle risorse naturali, l’appropriata applicazione della tecnologia e la capacità di ben orientare lo spirito imprenditoriale, sono elementi essenziali di un’economia che cerca di essere moderna, inclusiva e sostenibile».

Infine, Thomas Merton, monaco trappista nato cento anni fa, uomo di preghiera attivo nel dialogo interreligioso e nelle iniziative per la pace. «Essere al servizio del dialogo e della pace – ha detto il Papa – significa anche essere veramente determinati a ridurre e, nel lungo termine, a porre fine ai molti conflitti armati in tutto il mondo.» Nuovamente, Francesco ha levato la sua voce contro il commercio delle armi: «perché armi mortali sono vendute a coloro che pianificano di infliggere indicibili sofferenze a individui e società? Purtroppo, la risposta, come tutti sappiamo, è semplicemente per denaro: denaro che è intriso di sangue, spesso del sangue innocente».

Concludendo il suo intervento di fronte al Congresso, il Papa ha affermato come sia suo desiderio «che durante tutta la mia visita la famiglia sia un tema ricorrente. Quanto essenziale è stata la famiglia nella costruzione di questo Paese! E quanto merita ancora il nostro sostegno e il nostro incoraggiamento!». «Non posso nascondere – ha affermato Francesco – la mia preoccupazione per la famiglia, che è minacciata, forse come mai in precedenza, dall’interno e dall’esterno. Relazioni fondamentali sono state messe in discussione, come anche la base stessa del matrimonio e della famiglia». Le prime vittime dell’attacco alla famiglia sono i giovani, che spesso «sembrano disorientati e senza meta, intrappolati in un labirinto senza speranza, segnato da violenze, abusi e disperazione. I loro problemi sono i nostri problemi. Non possiamo evitarli». Oggi la cultura è tale che molti giovani «sono dissuasi dal formare una famiglia». Ma senza famiglia quella libertà, per cui tanti grandi americani si sono battuti, alla fine si perde.

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